2018

 










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Newsletter 2018

 

 

Ecco cosa ci siamo lasciati alle spalle nel 2018.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mancata comparizione personale della parte all’incontro di mediazione: dibattito aperto sulle conseguenze processuali.


     Le sentenze dei Tribunali di Vasto e Savona di fine 2018, sono espressione dello stimolante dibattito giurisprudenziale in corso, avente ad oggetto le conseguenze processuali della mancata comparizione personale delle parti all’incontro di mediazione.
     Da un lato, v’è l’orientamento maggioritario, rappresentato dal Tribunale di Vasto, secondo cui la mancata comparizione deve essere sanzionata con la “improcedibilità” della mediazione stessa, dal momento che la presenza personale delle parti costituisce uno “snodo cruciale” dell’intera procedura.
    Di diverso avviso, invece, è il Tribunale di Savona, il quale, con una pronuncia innovativa, ha affermato che l’assenza della parte determina non già l’improcedibilità, bensì solo “l’applicazione di una sanzione pecuniaria e la rilevanza di tale comportamento ex art. 116 c.p.c.”, come prevede l’art. 8, comma 4-bis, del D.lgs. 28/2010. Ebbene, con riguardo al predetto contrasto, ci sia concesso di esprimere la nostra personale preferenza, che va senza dubbio a quest’ultimo Tribunale.
     Riteniamo infatti che il Giudice ligure non si limiti ad una mera enunciazione, più o meno articolata, di principi di diritto (come fa il Tribunale di Vasto, che parla di “frustrazione dello spirito dell’istituto” o di “pacificazione sociale”, in modo forse un po’ troppo astratto), ma che invece proponga un ragionamento più coraggioso e – diremmo – più attento alla “pratica”.
   In questo senso, è interessante il parallelismo tra la mancata comparizione in mediazione e la contumacia: “se l’ordinamento riconosce il diritto a non partecipare al processo restando contumace, senza che ciò abbia alcuna diretta conseguenza sul piano processuale, in modo analogo deve essere riconosciuto il diritto a non aderire al procedimento di mediazione”.


     (Tribunale di Vasto, sentenza in data 17 dicembre 2018)
     (Tribunale di Savona, sentenza in data 13 dicembre 2018).

L’opposizione a precetto che non allega uno specifico pregiudizio sana le eventuali irregolarità formali del precetto stesso.


  Con la sentenza n. 19105 depositata in data 18 luglio 2018, la Cassazione, confermando le precedenti pronunce di legittimità sul punto, ha statuito che le eventuali irregolarità formali contenute nel precetto possono ritenersi sanate “a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi”, in tutti i casi in cui quest’ultima non alleghi uno specifico pregiudizio ai diritti dell’opponente.
     Gli Ermellini hanno infatti chiarito che la proposizione dell’opposizione a precetto da parte del debitore costituisce “prova evidente del conseguimento della finalità di invitare il medesimo ad adempiere, rendendolo edotto del proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata in suo danno”.
     Il Giudice di legittimità ha pertanto accolto il ricorso promosso dal creditore, dal momento che, nonostante il vizio contenuto nel precetto fosse evidente (non era stata indicata la data di notifica del titolo esecutivo), il debitore si era limitato a proporre opposizione senza dedurre alcun “particolare pregiudizio … quale avrebbe potuto, in ipotesi, essere quello di non poter disporre di un congruo termine per adempiere, tra la notifica del precetto e l’inizio dell’opposizione”.


      (Cassazione civile, sentenza 18 luglio 2018 n. 19105).

Trust e revocatoria ordinaria: il litisconsorzio necessario del beneficiario.


     Con la sentenza n. 13388 depositata in data 29 maggio 2018, la Suprema Corte si è soffermata ad analizzare la rilevanza del beneficiario nell’istituto giuridico del Trust, affermando che “nell'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un bene in trust, lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di un atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee”.
     La Corte ha infatti precisato che il problema del litisconsorzio necessario nell’azione revocatoria relativa a disposizione patrimoniale in trust, va risolto sulla base del “criterio della natura dell’atto e della rilevanza dell’elemento psicologico dal punto di vista del terzo”.
     La Cassazione, pertanto, nel rigettare il ricorso promosso da un Istituto di Credito, ha specificato che “se, avuto riguardo all'interesse del beneficiario, l'atto dispositivo è da qualificare come atto a titolo oneroso, lo stato soggettivo del terzo è elemento costitutivo della fattispecie e dunque il terzo, beneficiario dell'atto, è litisconsorte necessario. Se invece l'atto dispositivo è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del terzo non è elemento costitutivo della fattispecie ed il beneficiario non è litisconsorte necessario nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust”.


     Cassazione civile, sentenza in data 29 maggio n. 13388

Responsabilità del Notaio: conseguenze risarcitorie in caso di omessa verifica di iscrizioni ipotecarie sull’immobile compravenduto.


     Con la sentenza n. 15761 depositata in data 15 giugno 2018, la Cassazione ha stabilito che il Notaio chiamato a stipulare un contratto di compravendita immobiliare, che ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, può essere condannato al risarcimento del danno “consistente nel pagamento della somma complessivamente necessaria per la cancellazione del vincolo”, la cui determinazione deve essere comunque rimessa al giudice di merito.
     La Corte di Cassazione, nell’esame della vicenda, ha ricordato infatti l’orientamento secondo cui "in tema di responsabilità professionale del notaio, qualora egli non adempia correttamente la propria prestazione, compresa quella attinente alle attività preparatorie (tra cui il compimento delle visure catastali ed ipotecarie), la responsabilità contrattuale sussiste nei confronti di tutte le parti dell'atto rogato, se da tale comportamento abbiano subito danni e purchè non lo abbiano esonerato da tali attività", e ciò in quanto il rapporto professionale che intercorre tra notaio e cliente si inquadra nello schema del mandato, in virtù del quale “il professionista è tenuto ad eseguire personalmente l'incarico assunto ed è pertanto responsabile ai sensi dell'art. 1228 c.c., dei sostituti ed ausiliari di cui si avvale, dei quali deve seguire personalmente lo svolgimento dell'opera, con conseguente sua responsabilità esclusiva nei confronti del cliente danneggiato".
     La Suprema Corte, quindi, nel cassare con rinvio la pronuncia della Corte d'Appello di Lecce, ha affermato che la Corte territoriale, in diversa composizione, nel riesaminare la controversia, dovrà considerare che "l'attività preparatoria che rientra nei doveri di diligenza dell'attività notarile deve essere svolta in tempi utili a garantire la corrispondenza dell'esito delle ricerche effettuate con le condizioni del bene che vengono descritte nell'atto, sia in ragione della necessità di assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici di esso, sia in funzione della realizzazione sostanziale della funzione di pubblico ufficiale".


     (Cassazione civile, sentenza 15 giugno 2018, n. 15761)

     

Revocabilità del mutuo ipotecario se concesso al solo fine di garantire una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi.


     Con ordinanza n. 19746 del 25 luglio 2018 la Cassazione, a conferma di un orientamento consolidato, ha statuito che “qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire – attraverso l’erogazione di somme poi refluite in forza di precedenti accordi nelle casse della banca mutuante – una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, risulta individuabile il «motivo illecito» perseguito, rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti chirografari preesistenti. Tale garanzia è revocabile, in quanto concessa per nuovo credito, la cui erogazione è finalizzata all’estinzione di credito precedente chirografario.
     Nel caso di specie, la Banca ricorreva nei confronti di una procedura fallimentare in quanto il Tribunale competente, confermando la decisione del giudice delegato, non aveva ammesso al privilegio ipotecario il credito vantato dalla stessa.
     La Corte, in accoglimento del ricorso della Banca, ha affermato che l’utilizzo secondo una “prassi distorta” del mutuo ipotecario, vale a dire l’accensione dello stesso al fine sostanziale di sostituire con un credito assistito da garanzia reale un credito chirografario (non risultando lo stesso funzionale né all’acquisto di un immobile o a qualsiasi altra operazione avente a oggetto il bene costituito in garanzia), “non debba essere sanzionata con lo strumento della nullità, essendo la stessa piuttosto rimediabile con lo strumento tipico dell’azione revocatoria”.


     (Cassazione civile, ordinanza del 25 luglio 2018 n. 19746)

     

Nel processo esecutivo la liquidazione delle spese processuali non costituisce titolo esecutivo azionabile al di fuori del relativo processo.


     La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24571 depositata in data 5 ottobre 2018, ha statuito il principio di diritto secondo cui “il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione […] implica […] un accertamento meramente funzionale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato”.
     La Suprema Corte, ritenendo fondato il motivo di ricorso, ha pertanto affermato che in caso di incapienza totale o parziale delle somme ricavate dall’espropriazione forzata, la liquidazione delle spese processuali effettuata dal Giudice dell’esecuzione non costituisce titolo esecutivo azionabile al di fuori del relativo processo.
     Il Giudice di legittimità, nel solco del prevalente orientamento della dottrina, fa propria l’affermazione secondo la quale “nel procedimento esecutivo l’onere delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all’esecuzione”, e da tale presupposto trae conseguenza che “la liquidazione delle spese del giudice dell’esecuzione non può avere contenuto decisorio ma solo di verifica del relativo credito in funzione dell’assegnazione o distribuzione”.


      (Cassazione civile, sentenza in data 5 ottobre 2018 n. 24571)

     
     

 

 

 

 

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